Oriella Dorella: la farfalla della Scala

«Le ballerine sono come farfalle con le ali di titanio e una vita da marines»

«Sono nata danzando, ballavo con i gli zoccoli dello zio e i vestiti delle zie»

Étoile della Scala di Milano, ballerina famosa in tutto il mondo, Oriella Dorella ha calcato le scene dei più prestigiosi teatri internazionali, interpretando ruoli della tradizione classica e della danza contemporanea. L’abbiamo incontrata durante lo Jesolo Dance Contest, il famoso concorso di danza internazionale che si è svolto qui in città, in cui era ospite e giurata d’eccezione.

Oriella, com’è nata la sua passione per la danza?

«Credo di essere nata danzando: è stato il mio sogno fin da bambina piccolissima quando, con gli zoccoli dello zio Battista, che facevano da scarpine da punta, ballavo con i vestiti delle zie, anche se non avevo mai visto un balletto».

Che importanza ha avuto la danza nella sua vita?

«Direi che è stata fondamentale, formativa, educativa, mi ha preso proprio il cuore. La prima volta che ho ricevuto un piccolo cachet per avere ballato sono rimasta stupita perché, per fare la cosa che più amavo al mondo, mi pagavano pure un pochino! E questo dice tutto».

Ha girato il mondo: qual è stato il palcoscenico che più le è rimasto nel cuore?

«Il mio cuore è sempre stato legato al palcoscenico del Teatro della Scala dove ho studiato, mosso i primi passi e da dove è iniziata la mia carriera. Un altro palcoscenico che mi ha sempre dato emozioni incredibili è stata l’arena di Verona, dove ho fatto tanti spettacoli».

Aveva un rito da fare prima di entrare in scena?

«Non sono superstiziosa ma una cosa che facevo sempre era scegliere le scarpine adatte per ogni balletto e disegnarci un piccolo sole sulla soletta. Era un piccolo segreto che conoscevamo solo io e la mia sarta».

Ha mai avuto qualche rimpianto o rimorso?

«Io per natura non amo molto guardare indietro, non amo le fotografie e sono sempre proiettata al futuro. Forse avrei potuto fare qualcosa di più quando ho avuto delle occasioni straordinarie, come l’avere rinunciato a un’esperienza con Béjart, ma ero troppo piccola. Rimorsi non ne ho perché sono sempre stata molto chiara, facevo quello che dovevo fare, detesto l’invidia, detesto le manovre».

Il suo motto è…

«Lavorare perché la danza richiede molto lavoro, disciplina, autocontrollo. I danzatori e le ballerine sono come farfalle con le ali di titanio perché devono essere forti e una vita da marines».

Ci sono stati momenti difficili nella sua carriera? Se sì, come li ha superati?

«Momenti difficili ce ne sono stati, nella vita professionale e nella vita privata, e li ho superati facendomi portare dove mi portava il cuore e sempre lavorando con dedizione e onestà, prima di tutto con me stessa».

Come si riconosce un talento?

«Riconoscere un talento non è facile in quanto non ce ne sono tantissimi. Un talento non è solo quella meravigliosa tecnica, che non è altro che l’alfabeto su cui poi si dipana la danza, ma dietro c’è tutta un’anima, un’interpretazione, una crescita personale che si porta sul palcoscenico. Per me un talento è qualcuno che mi trasmette immediatamente qualcosa, anche se la tecnica non è perfetta, quella si perfezionerà. È qualcosa con cui si nasce».

Un suo consiglio ai tanti giovani aspiranti ballerini?

«Ce ne sarebbero migliaia ma quelli più importanti, che sono i cardini della vita di un danzatore sono: studiare bene, non accontentarsi mai, non scegliere la scuola solo perché è la più vicina, non smettere di guardarsi intorno, accettare che bisogna imparare, avere il coraggio qualche volta di misurarsi, scegliendo qualche concorso non solo per portare a casa il premio. E, poi… sperare che scocchi ogni tanto qualche freccia della fortuna, perché anche quella ci vuole!».

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