L’ottica che ha fatto storia, dedicata a nonna Jone

E’ stata avviata nel 1970, oltre 50 anni fa. E per questo si è meritata di entrare ufficialmente nell’albo dei “Luoghi storici del commercio” della regione del Veneto. La sua particolarità? Avere il nome della nonna del suo fondatore. “Mia nonna materna di chiamava Jone: un nome originale e inconsueto. E così decisi di “battezzare” la mia nuova attività con questo singolare nome”. A raccontarlo è Giuseppe Priviero, chiamato anche Beppino quando era più giovane ed ora semplicemente Bepi.

Quando e perché hai deciso di aprire?

“Può sembrare strano avere avviato questa attività, considerato che, come famiglia, avevamo quattro cinema. Nel 1968, mi diplomai in ottica a Firenze, all’istituto nazionale, in uno dei più prestigiosi in Italia. L’anno dopo ebbi un bruttissimo incidente ed in seguito a questo evento, non volevo più muovermi. Decisi, così, di aprire il negozio, inizialmente nei pressi di piazza Milano, poi davanti all’hotel Caravel, dove rimasi per 18 anni. Nel 1990 mi trasferii in via Bafile, dove mio suocere aveva un negozio di generi alimentari, che chiuse; nello stesso anno aprii anche in Paese, in via Cesare Battisti 8, dove mi trovo tutt’ora. Dal 1975 la gestione è con mia moglie Edvige, detta Edy, che è ottica anche lei”.

E si chiamò Ottica Jone.

“Vedevo che tutti mettevano il cognome del titolare: io, per essere originale, decisi di mettere quello della nonna, ovvero la mamma di mia mamma, che peraltro non ho neanche mai conosciuta essendo già mancata”.

Com’è cambiato il negozio di ottica?

“Direi enormemente, soprattutto perché ora tutto è impostato sul commercio e sulla moda. Un tempo gli occhiali li cambiavi anche dopo cinque anni, ora con più frequenza, proprio per il fatto che è diventato un modo per apparire e non più solo un oggetto utile per vederci bene. Oggi la tecnologia è arrivata ad un punto tale che le scoperte nel campo dei materiali, sia per la realizzazione delle montature che delle lenti, è arrivata ad una svolta epocale. Si usa il titanio, il carbonio, il policarbonato, il lantanio ed altri pregiati materiali per la realizzazione di forme e resistenza senza pari”.

E il lavoro di ottico?

“In effetti è cambiata anche la figura dell’ottico, ieri quasi solo un commerciante, oggi invece, con i corsi a livello universitario, che offrono una specifica ed approfondita conoscenza della materia, un esperto nel settore sia dal punto di vista diagnostico che correttivo. Oggi, quindi, è in grado di capire le ragioni di una mancanza visiva e di trovare le soluzioni per correggerla affiancando al sacrificio e l’impegno la passione per questo lavoro”.

Lavorare al Lido significa lavorare anche con gli stranieri: com’è con loro?

“Molto bello soprattutto i primi anni, perché venivano ad acquistare da noi, compresi gli occhiali, perché molto attratti dalla moda italiana, cosa che ora possono trovare anche da altre parti. Anche se c’è da dire che ho mantenuto lo stesso molti clienti d’oltre confine, che cercano la qualità. Naturalmente non è più come prima”.

I grandi magazzini hanno cambiato il modo di acquistare?

“Direi che la loro è una concorrenza spiegata. La gente ci va anche perché sembra quasi che tutti regalino tutto. Però ci si ricordi che si compera in base a quello che si spende. Come in tutte le cose. Il fatto è che ora le esigenze e il modo di acquistare sono cambiati: la gente guarda più al prezzo che alla qualità. Io dico sempre: puoi decidere di andare a Roma con una Mercedes o con una 500; massimo rispetto per tutte e due le auto, ma non puoi pretendere di arrivarci con lo stesso confort e qualità del viaggio”.

Quale la tua più grande soddisfazione?

“Le ho avute soprattutto con gli stranieri, perché capiscono la qualità e la cura del prodotto. Ci sono clienti che tornano da me da venti anni, anche solo per una riparazione, che faccio sempre a mano”.

Non dimentichiamo, poi, che per anni sei stato corrispondente de Il Gazzettino.

“Per venti anni. E sapete perché ho iniziato? Nel 1975, assieme ad Alfieri Finotto, aprii Radio Jesolo Number One. Siccome volevamo fare anche il radio giornale, ma serviva una persona iscritta all’ordine dei giornalisti, andai al Gazzettino, a Mestre, proponendo di collaborare, così da avere la possibilità di avere il tesserino. Così feci. Ricordo che all’inizio si scriveva con la macchina da scrivere meccanica e andavo anche tre volte al giorno a Mestre per portare le foto (quella della fotografia è una mia grande passione). Quando arrivò il fax sembrava essere una cosa meravigliosa. Altri tempi”.

Hai mai pensato di smettere?

“Ho sempre pensato che fino agli 80 anni non smetto. Oggi ne ho 77, fra tre anni vediamo. Di sicuro non voglio diventare come tanti coetanei, o anche più giovani, che si siedono al bar senza fare nulla”.

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