«Un’emozione immensa, ho realizzato il mio sogno di bambino».
La favola di Marco Modolo, il capitano che ha riportato il Venezia in Serie A

Già lo scorso 25 agosto c’erano tutti i presupposti per capire che quella appena conclusa non sarebbe stata stagione qualsiasi: vestito da doge, nella cornice di Palazzo Ducale, aveva presentato la nuova divisa da gioco. Originario di Eraclea, jesolano di adozione, è uno dei simboli della storia recente del Venezia Fc, squadra in cui milita da sei anni consecutivi. Lui è Marco Modolo, 32 anni, difensore centrale, dal 2019 è diventato il capitano della squadra lagunare che, in quest’ultimo campionato, ha guidato fino alla promozione in serie A, dopo 19 anni di attesa, vincendo 1-0 la finale di andata contro il Cittadella e pareggiando 1-1 la gara di ritorno.
Calcisticamente parlando un capolavoro, nel quale lo stesso Modolo è stato uno dei grandi protagonisti. Un’emozione difficile da spiegare per il capitano, oltre 250 partite con la maglia arancioneroverde. Lui che, dopo le giovanili con la Libertas Ceggia, è passato nel vivaio dell’Inter approdando nel Venezia per la prima volta nel 2007, dove ha giocato la prima stagione nella Primavera. Quindi il trasferimento alla Sanvitese per poi tornare nel team lagunare nel 2009, in serie D. Successivamente il passaggio alla Pro Vercelli in serie B, poi al Parma che l’ha girato in prestito prima agli sloveni del Gorica e dopo al Carpi. Nel 2015 il ritorno a Venezia, dov’è ripartito ancora una volta dalla serie D.
Marco, dalla serie D alla serie A: ci racconti questa parabola?
«In precedenza ero già stato a Venezia, dove ho giocato anche nelle giovanili. Il ritorno è avvenuto nel 2015: dopo la stagione in prestito al Carpi ero svincolato perché il Parma, società che aveva la mia proprietà, era fallita. Nel frattempo avevo ricevuto un paio di proposte dalla serie B che però non mi avevano convinto. La svolta è arrivata con la telefonata di Perinetti: è bastato poco per sposare il progetto. I primi due anni sono stati fantastici, abbiamo vinto subito il campionato di serie D, aspetto non scontato.
L’anno successivo, con l’arrivo di Pippo Inzaghi, siamo stati promossi in serie B, vincendo anche la coppa Italia di Lega Pro. Il primo anno di serie B è andato oltre le aspettative: abbiamo sfiorato la promozione in serie A perdendo la semifinale dei play off contro il Palermo. I due anni successivi sono stati più travagliati, c’è stata una retrocessione, con successivo ripescaggio. Lo scorso anno ci siamo salvati agevolmente ma nel frattempo la società ha cambiato proprietà. Qui c’è stata la svolta, abbiamo cambiato mentalità».
Ed è questo momento che è nato il campionato che vi ha portato in serie A, che sensazioni stai provando?
«E’ un’emozione immensa, ho realizzato il sogno che avevo da piccolo. Ogni bambino, quando si avvicina, al calcio sogna di poter arrivare in serie A e di giocare in certi stadi. Mio padre mi portava a vedere la partite in serie A: guardando quelle partite e mi chiedevo se un giorno ci sarei arrivato anche io».
Una soddisfazione doppia per te che sei originario della provincia di Venezia…
«Si, questo mi rende ancora più orgoglioso, anche perché sono molto legato a questo territorio e si avverte l’affetto di tutta la Città Metropolitana nei confronti della squadra. Io, tra l’altro, sto progettando casa proprio a Jesolo, mio padre è di Jesolo come i miei nonni».

Per molti il segreto della vostra promozione è stato la forza del vostro gruppo, confermi?
«Siamo partiti per fare un campionato tranquillo e all’inizio della stagione non eravamo indicati tra i favoriti. Tra di noi si è formata una coesione notevole: chi entrava in campo lo faceva prima di tutto per aiutare i compagni. Questo si è rivelato un elemento di forza che sicuramente ha dato un forte contributo al risultato finale».
Quando avete capito che la promozione era alla vostra portata?
«Per esempio quando abbiamo battuto l’Empoli al Penzo, unica squadra a batterlo nel girone d’andata oppure quando abbiamo battuto la corazzata Monza in trasferta. La differenza, però, l’hanno fatta alcune sconfitte, con il gol subito allo scadere. In questo modo abbiamo perso almeno 5, 6 punti ma quegli episodi ci hanno aiutato molto a migliorarci».

Tutto il campionato senza tifosi, che effetto vi ha fatto vederli fuori dallo stadio Penzo prima della finale?
«Giocare senza pubblico è strano, vedere i tifosi fuori dallo stadio è stata una bella sensazione. Ogni tanto venivano ad incitarci al Taliercio, vederli fuori dal Penzo e sentire i loro cori è stato diverso. E’ per questo che, quando abbiamo subito la rete del Cittadella e poi la successiva espulsione, abbiamo pensato a loro che erano lì fuori per noi, ci hanno dato una spinta in più».
Un’ultima curiosità: con il Cittadella al gol di Boccalon, tutti sono corsi ad abbracciarsi, tu invece ti sei tuffato a terra: perché?
«E’ difficile da dire, è stato l’istinto. Quello è stato il gol della seria A. Mi sono passati davanti agli occhi vent’anni di carriera, in quel momento ho capito che avevo realizzato il mio sogno».