Di suoni e di cuore

Giulia è una giovane donna di 35 anni, nata con sordità profonda a causa della rosolia contratta dalla mamma durante la gravidanza. Si avvicina al violoncello a soli 4 anni, durante un percorso di rieducazione con la nota musicoterapeuta Giulia Cremaschi. Per via dell’estensione di frequenze simili a quelle della voce umana, questo strumento aiuta a sentire le vibrazioni che si trasmettono dalla cassa armonica al corpo. A marzo ha partecipato alla puntata di Iannacone, su Rai Tre, “Che ci faccio qui”, durante la quale ha raccontato di come, grazie alla musica, è riuscita ad affinare le sue capacità percettive.

Ma, se dovessimo parlare di Giulia solo dal punto di vista della musica, perderemmo tutto il bello della sua personalità, della sua intelligenza e anche della sua ironia. E’ una persona speciale che, con leggerezza, si avvicina alla vita e, con intelligenza, ritrova l’equilibrio nel caos di un mondo dai suoni distorti. Impossibile non restare incantati dal suo sguardo fresco e, contemporaneamente, profondamente maturo.

Come riesci a  “sentire” la musica?

«Sin da piccola attraverso gli apparecchi acustici, anche se la sentivo confusa, perché un tempo le protesi acustiche erano meno precise di quelle odierne; però, anche se era rimbombante, mi ero già innamorata del suono. Solo successivamente ho preso consapevolezza che le sue vibrazioni mi avrebbero aiutata».

Che differenza esiste tra la musica che si sente con l’udito e quella che si “sente” con il corpo?

«L’orecchio è l’organo specializzato per elaborare le onde sonore (quindi le vibrazioni) e riconosce gli armonici, perciò, sentire con l’orecchio, sarebbe come avere la possibilità di leggere qualcosa in maniera limpida. Le vibrazioni, invece, sono i suoni “grezzi” non ancora elaborati ma che contengono tutte le informazioni che possono essere decodificate attraverso la sensibilità».

Quali sono state le maggiori difficoltà oggettive nell’apprendimento della musica?

«Quando ero piccola non avevo grosse difficoltà. Probabilmente perché l’infanzia permette di essere spontanei e questo consente all’espressività musicale di fluire liberamente. Le difficoltà erano perlopiù tecniche:

le posizioni sul violoncello non sono semplicissime da imparare ed è un po’ come approcciarsi alla danza classica che richiede molta pazienza per adattare il corpo a posizioni difficili. Durante l’infanzia non c’era grande esigenza di intonazione che, invece, è venuta fuori dopo e da allora si è un po’ bloccato tutto».

Quanto ha contribuito la scelta di farti studiare violoncello nella tua crescita come persona? E in che misura questo percorso ti ha aiutata a vincere il mondo silenzioso dei non udenti?

«Il suono è legato all’emozione, quindi innanzitutto la musica mi ha messa in contatto con le mie emozioni. La sentivo ovunque: quando guardavo fuori dal finestrino dell’auto durante i viaggi, a scuola, al mare, in montagna. Fare esperienza delle proprie emozioni è un passo importante per la crescita, perché la differenza tra un bambino e un adulto sta proprio nel fatto che un bambino non sa ancora gestire le sue emozioni, mentre un adulto, in teoria, dovrebbe esserne in grado, anche se è una crescita continua.

Il silenzio è importante, ma, ovviamente, non quello dell’incapacità di comunicare».

Trasmetti grande positività e serenità: che percorso è stato necessario per raggiungere il tuo equilibrio?

«Un percorso non sempre facile e sereno. Ho imparato che i veri limiti stanno dentro di noi, quelli esteriori non sarebbero nulla al confronto, in base alla gravità ovviamente.

Nell’infanzia sono stata felice e trasmettevo quella serenità perché il mio mondo interiore era bello, fantasioso (anche troppo), stavo bene con me stessa e gli altri, ero appassionata di sogni e avventure mi sembrava di avere tutto o quasi».

E nell’età adolescenziale?

«Nell’adolescenza sono cominciate le difficoltà di relazione. Soprattutto per la difficoltà nel seguire i discorsi delle persone e per le esigenze scolastiche sempre più impegnative. Man mano che andavo avanti non sapevo più come relazionarmi con gli altri e ho incominciato a sentirmi infelice. Il mio bellissimo mondo non poteva più sopravvivere in una realtà difficile e talvolta spietata come quella che ci viene imposta. Quando suonavo mi dicevano che ero stonata ed era terribile. Alle superiori non conto i giorni in cui da scuola a casa facevo scena muta e anche all’università con gli esami era un disastro. Superato, poi, il lutto di mia madre, mi sono avvicinata per un periodo alle teorie spirituali e, pian piano, sono tornata nel mio bellissimo mondo interiore. Non più una visione triste e distorta di me e del mondo, ma la consapevolezza di non dovermi aspettare nulla dagli altri. Vivo la gioia e la libertà di essere quel che sono».

Che rapporto hai con il “giudizio” degli altri?

«Il giudizio è ciò che caratterizza questo mondo. E’ difficile che possa non esserci, perciò, ad un certo punto, si smette di dargli troppa importanza perché diventa scontato».

Cos’è per te il silenzio?

«Per silenzio non intendo isolamento, ma il ritrovamento dell’ordine delle cose. È più simile alla solitudine ma, nella solitudine, si può stare bene, nell’isolamento no. Nel silenzio si ritrova la propria integrità, si possono mettere in ordine i propri pensieri per stare bene con se stessi e fare una sorta di ‘pulizia’ di tutto il caos che proviene da fuori».

Cambiando il modo di vedere le cose, è possibile cambiare il modo di “sentire” la vita?

«Sì, per avere un bel mondo interiore è necessario capire qual è il nostro modo di vedere le cose ed avere il coraggio di cambiarlo se qualcosa non va, seguendo il nostro sentire perché il sentire ci indica sempre cosa ci fa stare bene e cosa male».

Qualcuno in carrozzina, qualcuno con gli apparecchi acustici, altri con le protesi, l’unico ausilio che non ci è concesso è un cuore d’acciaio. Siamo tutti fatti di pezzi intercambiabili. Frammentati eppure potenzialmente fortissimi.  Forti come lei, Giulia, fatta di cuore e di suoni.

è una donna disabile, orgogliosamente disabile viene da dire conoscendola, perché lei con molta sincerità dice: «La mia vita sulle ruote non è troppo male, anzi». Se c’è qualche cosa che non le piace è la mancanza di conoscenza da parte delle persone, che finisce per causare grandi difficoltà. Ironica, intelligente e molto sensibile, Emanuela racconterà a Vivijesolo com’è la sua vita da disabile, tra episodi divertenti e altri scomodi: perché tutto potrebbe diventare un po’ più facile se solo ci fosse un minimo di accortezza da parte di tutti. Per scrivere a Emanuela Bressan: soloabili@yahoo.it

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