Appuntamento in piazza con un mio amico, anche lui in carrozzina. Però, siccome di secondo nome faccio Trenitalia, ho 10 minuti di ritardo. Arrivo, parcheggio ma non lo vedo, così lo cerco. Finalmente lo scorgo in fondo alla strada che guarda una vetrina.
Vabbè, dai, sono in ritardo, ma non serviva che se ne andasse voltandomi le spalle in questo modo, e poi dicono che sono le donne quelle permalose!
Mi preparo per raggiungerlo. Attraverso sulle righe, ma dall’altra parte del marciapiede trovo uno scalinone.
Mi tocca fare tutto il giro per cercare una rampa. Riprendo l’inseguimento e finisco in un branco di ciclisti. «Permesso, scusate, ocio che mi stirate cò ste ruote più grandi di me». Sana e salva riprendo l’inseguimento e lo chiamo.
Mi rispondesse una volta!
Manco si volta. Accelero, sicuro che lo prendo, invece la ruotina si incastra in una sconnessione delle mattonelle del marciapiede e, ad effetto catapulta mi rovescio in avanti con l’eleganza di Maurizio Costanzo a Ballando con le Stelle.
L’ultimo ciclista della fila torna indietro per raccattarmi dall’asfalto e ricompormi in formazione seduta.
Recupero un minimo di dignità e proseguo. Manco si è accorto che mi sono spalmata per terra… Finalmente lo raggiungo, lo chiamo di nuovo ma non si volta, arrivo, lo afferro per la maniglia della carrozzina e lo freno. Si volta e… un tedesco sconosciuto mi fa: «Bitte?».
Porco cane, una fatica della malora per rincorrere l’uomo sbagliato.
La dura vita di noi donne.
