I Mascaroni di Venezia
Quando si dice “mascaroni” non ci si riferisce solo a visi di donna pesantemente truccati (come si dice in veneziano “ti xe un mascaron”), ma anche e soprattutto a degli elementi decorativi che, spesso e volentieri, si trovano all’ingresso dei campanili in città. Si tratta di volti scolpiti per lo più nella pietra, mostruosi e un po’ grotteschi, ma che avevano una funzione davvero particolare, quella cioè di spaventare il diavolo e gli spiriti maligni affinché non suonassero le campane a caso e creassero un vero e proprio scompiglio tra gli abitanti. Infatti, anticamente le campane servivano a scandire la vita dei veneziani e, in particolare, il loro rintocco segnava l’inizio e la fine della giornata lavorativa.
Pensate che persino le campane del campanile di San Marco sono ben cinque e ognuna con una precisa funzione (la renghiera avvertiva che un condannato stava per essere punito, la nona suonava a mezzogiorno, la marangona dettava l’inizio e la fine dei lavori all’Arsenale, il primo cantiere navale della storia, la trottiera avvertiva i nobili che dovevano mettere i loro cavalli al trotto se volevano arrivare puntuali alle riunioni di palazzo ducale e la pregadio segnava l’inizio delle funzioni religiose). Il mascaron più famoso di tutta la città è quello che si trova all’ingresso del campanile della chiesa di Santa Maria Formosa, nell’omonimo campo, ed è così spaventoso che mise paura allo scrittore John Ruskin, il quale nel suo libro “Le pietre di Venezia” lo descrisse così: un testone inumano e mostruoso, dalla risata lasciva e bestiale, troppo disgustoso per essere disegnato o descritto, o da essere sbirciato per un istante…”.
