L’Amour Fou

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Ancora una iniziativa coinvolgente, al JMuseo, nell’ambito della mostra “Loving Picasso – Muse, Amanti, Artiste”. Livio Pacella, nei giorni scorsi ha accompagnato il pubblico nella lezione-spettacolo “L’amour fou – L’amaro amore delle muse”. Un viaggio nel cuore della relazione tra arte e vita, esplorato tramite storia e opere di due figure femminili che hanno segnato intensamente il cammino di Pablo Picasso.

Lei è anche un regista: nel copione della vita di Picasso, che ruolo hanno avuto le sue Muse?

«Essere artisti, nel Novecento parigino, significava giocoforza esibirsi. L’artista doveva essere tale non solo attraverso l’opera, ma – wildianamente – attraverso la vita. Picasso è stato l’artista par excellence a Parigi, cioè in Europa. Rappresentava un modello imprescindibile. Per questo era un despota nelle relazioni».

E le sue amanti mettevano in pericolo il suo dominio?

«Dora Maar e Françoise Gilot cercavano di imporsi come spiriti liberi e creativi, all’interno di un mondo in buona parte maschilista. Sue Muse e fonte di intensa ispirazione, certo. Il punto è che non potevano essere altro. Dora venne sopraffatta, non altrettanto Françoise, meno vittima del minotaurico genio. Oggi le celebriamo in primo luogo perché Muse del Maestro: il copione da lui scritto, al prezzo di lacrime amare, ha funzionato»

Quanto ha contato l’ambiente parigino, come palcoscenico delle storie narrate in mostra?
«
Parigi è stata, all’epoca, il cuore dell’Europa intellettuale e artistica. Un palcoscenico, dove l’Arte era innanzitutto contro la quotidianità borghese, ma in uno scontro apparente: senza il “pubblico” borghese non sarebbe nata alcuna avventura come quella surrealista. Picasso non aveva bisogno di appartenere a tali correnti. Riuscire ad entrare nelle sue grazie era un privilegio quasi sacro. Lì, dove l’Arte era una religione e Picasso un dio, apparire nel suo dramma, come personaggio non secondario – ovvero come Musa – doveva sembrare un sogno».

Quali “scatti” privilegia nella conferenza-spettacolo?
«
In omaggio all’ambiente surrealista e a Breton, l’idea è stata quella di giustapporre aneddoti, simboli e citazioni, il tutto senza soluzione di continuità. Tentando di creare un flusso ipnagogico, senza prese di posizione o pretese esplicative. Ma anche senza complicare troppo un racconto già, a dir poco, affascinante. Dora e Françoise: frammenti della loro vita, le loro parole, la Parigi del tempo e considerazioni sulla vita come opera d’arte… Che non sempre riesce ad essere un capolavoro».

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