Perché ci vuole…Elio
Il fantastico mondo di Enzo Jannacci attraverso lo spettacolo di Elio
Non poteva che essere lui. Istrionico, divertente, geniale, mai banale, stupefacente, iconico. Non poteva che essere lui, Elio, fondatore e leader degli “Elio e le Storie Tese” (dopo quasi 40 anni di perle musicali e performance, come quella al Festival di Sanremo del 1996 con “La terra dei cachi”) a portare in scena uno spettacolo su Enzo Jannacci. Il perché, nella nostra intervista. E per chi non ha potuto godersi “Ci vuole orecchio”, tranquilli: le repliche continueranno (forse) per altri cinque anni.
Elio, com’è nata l’idea di questo spettacolo?
«E’ nata prima di tutto per soddisfare una mia esigenza: avevo voglia di raccontare Jannacci e di farlo conoscere a quel pubblico che non lo ha mai musicalmente incontrato».
Jannacci che tu conoscevi fin da piccolo…
«Lo conoscevo non nel senso che eravamo amici o che ci frequentavamo: lo ascoltavo da quando sono nato; sono cresciuto imbevuto di Jannacci. Quindi, anche se poi nella mia vita reale l’ho incontrato poche volte, è sempre stato una specie i parente».
E’ un concerto, una rappresentazione teatrale, o…?
«In realtà stiamo parlando di una specie di concerto parlato. La linea che avevamo, io e il regista Giorgio Gallione, era di raccontare Jannacci in un’ora e mezza scarsa, cosa non facile, ma possibile. Ho selezionato una serie di canzoni che servissero a raccontare, a descrivere il mondo Jannacci, dall’inizio alla fine. Penso che ci stiamo riuscendo. E lo spettacolo sta andando sempre meglio, lo vedo anche dai commenti che mi fanno dopo ogni spettacolo. Non pensavo potesse avere un tale seguito, al punto che andremo avanti ancora per un anno abbondante e probabilmente ancora oltre. Se voglio potrei anche per altri cinque anni perché c’è grande richiesta».
Ti stai divertendo?
«Mi sto divertendo moltissimo a farlo, perché gli spettacoli che faccio soddisfano in prima luogo me stesso. Poi ci siamo trovati bene con il gruppo che mi accompagna. E’ sempre una gioia».
E se non sbaglio è la prima volta che suoni con un gruppo che non sia quello degli Elio…
«Sì, è la prima volta ed è bellissimo. Prima di tutto perché sono bravi, quasi tutti giovani, ma poi il bello di esserci incontrati da poco tempo significa che ci sono un sacco di cose che scoprire, cose nuove. E soddisfa anche la mia di voglia di scoprire cose nuove. Mi dà stimoli nuovi».
Perché la gente non ha capito Jannacci?
«Jannacci, questa è una mia opinione personale, ha una colpa: agli occhi del pubblico italiano faceva ridere e se fai ridere, in automatico non sei classificabile fra i grandi artisti da prendere seriamente; questo un po’ gli ha tagliato le gambe, unito alla sua dimensione milanese, anzi, marcatamente milanese. Sono stati commessi errori nella valutazione e questo è uno dei motivi per cui ho voluto fare questo spettacolo».
E’ un po’ la sorte che è toccata anche a Elio e le Storie Tese…
«La fortuna di un artista quando muore è che poi lo si riscopre; noi non avevamo voglia di morire e così ci siamo sciolti, anche se è più corretto dire che abbiamo interrotto».
Non è che in Italia non si sappia più ridere e ci si prenda troppo sul serio?
«Questa cosa l’ho sempre vissuta, non mi sembra che sia una tenenza degli ultimi anni. Anche non renderci conto che la nostra realtà quotidiana è assimilabile ad una barzelletta in tanti episodi».
Tu che hai partecipato, da giudice, a diversi talent: secondo te oggi ci sono più talenti o più possibilità, per i giovani, di esprimerli?
«Le possibilità per esprimere i talenti sono sempre inferiori al numero degli artisti; certamente in Italia non esiste un sistema organizzato come c’è, ad esempio, nei Paesi anglosassoni, per cui se uno ha doti si può affermare, perché assistito da persone competenti. Ecco, oggi ci vorrebbe una “cantera” (il settore giovanile del Barcellona) per i giovani artisti».
Sorpreso del successo dei Måneskin?
«Lo ammetto, sono sorpreso, non me l’aspettavo, ma non perché non siano bravi, ma perché un successo di tale proporzioni è una cosa che non se l’aspettava nessuno, forse neppure loro. Invadere il mercato americano come stanno facendo, è una cosa incredibile».
Sei un artista poliedrico, ma non ti piacerebbe fare l’attore di cinema?
«L’attore cinematografico è una di quelle cose che non mi attirano. Ha tempi talmente lunghi che poi mi annoio. A me piace affrontare l’imprevisto. Certo, se ci fosse una proposta interessante, lo farei».
Hai qualche rimpianto?
«Ne ho fatte tante, ma mi mancano ancora un sacco di cose da fare e non so se potrò mai realizzarle. Sono una persona che si interessa di tutto».
Oggi sarebbe più facile essere “Elio e le Storie Tese” rispetto a quando avete iniziato?
«Forse no, perché invece di andare verso un’epoca più libera, mi sembra che ci stiamo trasformando in una società talmente conformista che si esce dai binari».