Talento e fragilità – Matteo Bussola

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Matteo Bussola sarà ospite di Jesolo Libri martedì 15 luglio, alle 21, in Piazza Milano, con il giornalista Paolo Armelli.

Come ha scoperto il suo talento di scrittore?

«Da giovanissimo volevo solo disegnare. Amavo il disegno con tutto me stesso ma, mettiamola così, il disegno non mi ricambiava con la stessa intensità. Ho perciò imparato a disegnare disegnando tanto, e direi che questo mette già in campo la mia idea (poco romantica) di talento: non qualcosa con cui nasci, ma una passione che coltivi disperatamente».

Quando è arrivata la scrittura?

«È arrivata dopo, anche se ha sempre accompagnato la mia vita, dato che fin da piccolissimo ho sempre scritto, soprattutto ero abituato a tenere un sacco di diari, in cui annotavo le cose che mi succedevano, le esperienze che vivevo. Un tipo di scrittura che mi abituava a osservare, a essere curioso, ad arricchire il mio sguardo. Ho proseguito con quest’abitudine anche on line e da anni, sui miei canali social, scrivo più o meno brevi racconti di quotidianità, punti di vista sul mondo, storie di vita che spesso celano dietro l’apparente ordinarietà straordinarietà insospettabili».

Poi è arrivata Einaudi…

«Un giorno uno dei miei racconti è stato notato da Rosella Postorino e Severino Cesari, editor di Einaudi, che mi ha contattato per chiedermi se mi andasse di raccogliere tutti questi racconti. Notti in bianco, baci a colazione, il mio primo libro, è nato così».

Perdere è diventato così difficile da accettare?

«Noi siamo nati per perdere. Siamo nati per imparare fallendo, per imparare sbagliando. Per questo è paradossale che facciamo vivere i giovani e i giovanissimi in questa società della performance in cui li spingiamo (consciamente o meno) solo a vincere, a essere i primi, in cui trasmettiamo loro il valore della competizione a discapito di quello della cooperazione. In una società che considera la fragilità un sinonimo di debolezza, ahimè, essere fragili o imperfetti viene visto come un difetto o una vergogna».

Nel romanzo La neve in fondo al mare (Einaudi), narra con delicatezza le fragilità di un adolescente e di suo padre, insieme in un reparto di neuropsichiatria infantile dove il ragazzo è ricoverato. Da dov’è nata l’idea di raccontare questa storia?

«È’ nata dall’osservazione della realtà, dagli incontri con gli studenti nelle scuole, dai racconti dei loro disagi, dalla loro sensazione di non sentirsi mai davvero “visti” dal mondo adulto, dal rendermi conto che c’era una specie di epidemia psichiatrica in corso fra gli adolescenti che ha riempito i reparti di neuropsichiatria infantile di ragazzi e ragazze che si tagliano, che si feriscono, che hanno sviluppato disturbi del comportamento alimentare, in alcuni casi che hanno tentato il suicidio».

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