Un messaggio da Gerusalemme

«In Terra Santa una situazione grave, da Jesolo un messaggio di pace al mondo».

Il vescovo ausiliare e vicario generale emerito del Patriarcato di Gerusalemme, monsignor Giacinto-Boulos Marcuzzo, sarà ospite della città di Jesolo in occasione dell’inaugurazione dello Jesolo Sand Nativity. La visita dell’autorità religiosa rafforzerà il messaggio di fratellanza contenuto nel celebre presepe di sabbia jesolano, quest’anno dedicato al dialogo interreligioso.

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Che situazione state vivendo in Terra Santa?

«Estremamente grave. La regione comprende la Palestina, con Gaza, lsraele, Giordania e Cipro. Giordania e Cipro non sono direttamente coinvolti nella guerra, ma ne soffrono molto indirettamente. Gaza, il Sud e il Nord di lsraele, e il Sud del Libano sono pesantemente colpiti dal conflitto, con spostamenti di popolazione e bombardamenti continui che hanno causato decine di migliaia di morti, soprattutto civili».

Quali sono i maggiori problemi che state vivendo?

«A Gaza, la situazione è disastrosa: la città è distrutta, gli accessi sono chiusi e la popolazione soffre per la mancanza di beni essenziali, con migliaia di vittime e feriti senza accesso a cure mediche. Il Sud del Libano e Beirut sono sotto attacco aereo israeliano continuamene. Nel Sud e nel Nord d’Israele, i razzi di Hamas e Hezbollah continuano a colpire. Nelle città di TelAviv e Gerusalemme, la situazione è relativamente più stabile, ma persistono gravi problemi sociali ed economici. C’è, poi, un problema di fondo: la mancanza di giustizia e di libertà, per le quali ci mancano dei capi capaci di rivivere lo spirito degli accordi di Oslo; pertanto, è difficile raggiungere la pace».

L’edizione 2024 dello “Jesolo Sand Nativity” è dedicata al dialogo interreligioso: è possibile affrontare un tema simile sotto l’esplosione delle bombe?

«È doveroso. II conflitto israelo-palestinese, pur avendo nomi religiosi – come Hamas (acronimo di Movimento di resistenza musulmana) e Hezbollah (acronimo di Partito di Dio) – è essenzialmente un conflitto politico e richiede una soluzione politica. La comunità cristiana, pur non avendo pretese politiche comec, è coinvolta come cittadina di questa terra e di questa storia, non può rimanere indifferente. Anche sotto le bombe continuiamo a promuovere la riconciliazione e la pace, offrendo aiuti senza distinzione».

Che nome ha la speranza del Natale 2024?

«L’amore di Dio per ogni uomo. Quell’amore che ci libera dalla schiavitù, soprattutto quella del peccato. Un amore che rende il popolo coeso, anche dal punto di vista sociale e che ci mette di fronte ad una vita giusta, accompagnandoci nel cammino del deserto. Natale è la realizzazione di una grande promessa di Dio. È la realizzazione di una grande speranza dell’uomo, di ogni uomo e di ogni tempo».

Cosa dirà ai suoi fedeli la notte di Natale in preparazione al Giubileo del 2025?

«Biblicamente il Giubileo è una sosta, un esame di coscienza e una ripartenza. La speranza è quella di guardare al futuro. Sarà un Natale fondato sulla fede e carità, con la speranza e l’impegno ‘sinodale’ di una di liberazione pacifica e paziente, di aiuto e collaborazione con tutti».

Monsignor Giacinto-Boulos Marcuzzo, ci svela il significato del suo secondo nome Boulos?

«E’ il termine arabo per Paolo. Ecco il motivo perché l’ho adottato. Sono nato a San Polo di Piave (Treviso) Grazie all’istituto Missionario San Pio X di Oderzo, ho continuato la mia formazione missionaria in Terra Santa nel 1960, al Seminario Patriarcale Latino di Gerusalemme, situato a Beit Jala. Il mio cognome nella lingua araba si pronunciava bene, mentre il mio nome, Giacinto, era stropicciato male. Decisi di adottare un nome da aggiungere a Giacinto, Paolo, patrono di San Polo di Piave, in arabo Boulos. Non è solo una questione di lingua e di pronuncia ma anche di cultura orientale e araba che ho accolto felicemente, senza contrasti».

Qual è il suo legame con la terra d’origine?

«Molto stretti. In provincia di Treviso ci sono i miei familiari. Il Veneto ha relazioni storiche culturali profonde con l’oriente. Come missionario, mi considero un mandato dalla mia parrocchia e dalla mia diocesi alla Terra Santa. Ci sono, poi, relazioni sociali con comunità, vescovi e varie realtà».

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