Cinque ore per arrivare a Venezia
La viabilità non è un problema dei giorni nostri. Lo era anche nel 1800.
Ce lo racconta Roberto Rugolotto nel suo libro “Jesolo, una storia, tante storie” (ed. Cid, Venezia 1994): «Fino a metà del 1800, i commercianti, i mezzadri, gli ‘affittanzieri’ si muovono con i loro cavalli e i loro carri su un reticolo stradale assai ridotto. A sinistra del Piave Vecchio-Cavetta si snodano via Pirami (….), le parallele via S. Marco e Molinato (da Ca’ Pirami per il Molinato, a Cavazuccherina) e il segmento che unisce lo stradone Monti-Bragadin (Piave Isonzo) a via Ca’ Pirami. Dal Paese, fra Cavetta e Piave Vecchio, parte la strada comunale che segue l’andamento sinuoso del fiume per raggiungere le risaie e i casolari che sorgono quasi alla foce. Le due ‘reti stradali’ sono collegate fra loro dal ponte che unisce le opposte rive del canale dove ora si apre Piazza I° Maggio. (…)
Poco più a monte i fratelli Baffo gestiscono un ‘passo a barche’ che causa le vive proteste degli abitanti dei ‘Salsi’ costrette al pagamento del pedaggio ogni qualvolta devono recarsi al centro. Naturalmente anche le vie d’acqua vengono utilizzate per il transito di burci carichi di legname, carbone e granaglie diretti a Venezia». Ma si fanno avanti anche i “vapori passeggeri” lungo la linea Cava-Caposile, Portegrandi-Mazzorbo-Venezia. «Viene allora costruito un approdo vicino al ponte del Cavetta da dove parte, all’una pomeridiana, l’unica corsa giornaliera (“eccettuata la domenica”) che giunge sulle rive veneziane alle quattro e quarantacinque circa». Un batter d’occhio! Tant’è che «quel servizio verrà potenziato agli inizi del XX° secolo».