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Arnie Boldt, canadese, classe 1957, è amputato ad una gamba dall’età di 3 anni. Dalla sua prima partecipazione, nel 1976, a Toronto (in Canada), è stato 7 volte campione Paralimpico di salto in alto e di salto in lungo, stabilendo, nel 1980, il record mondiale nel salto in alto con 1,96 metri, ancora oggi imbattuto. È stato uno dei pionieri di un evento oggi, giustamente, celebrato e molto seguito.

Arnold Boldt, Toronto 1976 – Para Athletics

Arnie Boldt, cosa significava partecipare alle Paralimpidi nel 1976?

«Le Olimpiadi per i Disabili Fisici, com’erano allora definite, furono un evento straordinario. Era la prima volta che amputati, ciechi, quadriplegici e paraplegici si riunivano a livello internazionale per competere contro altri con disabilità simili. È stato fantastico incontrare persone da tutto il mondo, condividere storie, ridere e competere. Ed è stato sorprendente, per me, scoprire quanti altri atleti con una sola gamba praticassero il salto in alto con lo stesso stile: testa in avanti e tuffo sopra la sbarra».

Com’era lo sport per disabili in quegli anni?

«Ti racconto questo aneddoto. Nel 1978, durante una gara indoor di atletica leggera per normodotati, alla quale partecipavo come unico disabile, un professore, vedendomi entrare in campo con le stampelle ed una sola gamba, dichiarò al giornalista che lo intervistava, che sarebbe stato meglio per me se me ne fossi andato piuttosto che rendermi ridicolo davanti a tutti. Alla fine dovette cambiare idea sia su di me che sulle capacità sportive di ogni atleta sufficientemente motivato».

Certamente questa non era l’unica difficoltà incontrata…

«No, infatti. Le difficoltà maggiori erano quelle finanziarie. Non ho ricevuto alcun finanziamento come atleta, fino al 1990, nonostante fossi detentore del record mondiale di salto in alto (ancora imbattuto). Ben 14 anni dopo i miei primi record mondiali! Invece gli atleti normodotati in Canada ricevevano finanziamenti per l’allenamento, l’attrezzatura e la scuola molti anni prima».

Quindi come ti finanziavi?

«Nel corso della mia carriera ho sempre dovuto lavorare per potermi pagare gli allenamenti e le gare. Ho anche perso molte opportunità di competere perché dovevo lavorare per pagarmi il cibo, l’affitto e la scuola. E anche quando ho ricevuto i primi finanziamenti, si trattava sempre di quote inferiori rispetto agli atleti normodotati».

Quali sono i tuoi ricordi più belli?

«Soprattutto conoscere persone da tutto il mondo, condividere con loro storie, preoccupazioni, ma anche solidarietà e divertimento. Sono felice di vedere quanta strada hanno fatto gli sport parasportivi negli ultimi 50 anni. È stato bellissimo poi vedere Paralimpiadi e Olimpiadi svolgersi  nelle stesse sedi».

Quale, secondo te, l’edizione migliore delle Paralimpiadi?

«Penso che Londra 2012 sia stata una delle Olimpiadi più incredibili. Era ben organizzata, sia per gli atleti normodotati che per quelli disabili. Ricordo che camminavo per le strade di Londra durante i giochi e vedevo la gente nei pub e nei ristoranti guardare le Paralimpiadi in tivù e applaudire. Tutti gli eventi alle Paralimpiadi di Londra 2012 hanno registrato il tutto esaurito. È stato commovente e molto motivante».

Cosa diresti agli atleti paralimpici che si preparano a vivere presto le tue stesse emozioni?

«Sfrutta al massimo l’esperienza e goditi ogni momento. Non fare nulla di stupido che possa mettere a repentaglio il tuo allenamento. E, soprattutto, non mangiare troppo al Village finché non finisci le gare, perché si sa che la cucina francese…».

Ai Giochi Paralimpici di Parigi, che si svolgeranno dal 28 agosto all’8 settembre, l’Italia si presenterà con la squadra più numerosa di sempre, composta da 140 atlete e atleti che competeranno in diciassette discipline. In totale sono previsti 4400 atleti disabili da tutto il mondo, 184 delegazioni e una stima di circa 65mila spettatori.

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