«Lo sport ha la forza di unire il mondo, nel segno dell’inclusione e della pace»
Dal 24 agosto al 5 settembre, si terrà a Tokyo la sedicesima edizione dei Giochi Paralimpici Estivi. 113 azzurri impegnati in 16 discipline, il più alto numero di atleti da quando l’Italia partecipa a una Paralimpiade. Tra questi la “nostra” Bebe Vio, che sarà anche la portabandiera. In occasione della prossima edizione dei Giochi abbiamo chiesto al Presidente del Comitato Italiano Paralimpico, Luca Pancalli, di dividere con noi alcune riflessioni

Qual è il significato delle Paralimpiadi per Lei Presidente?
«Per me le Paralimpiadi rappresentano una delle più importanti celebrazioni della forza dello sport e della sua capacità di unire tutto il mondo, al di là di ogni differenza fisica e culturale, nel segno dell’inclusione e della pace. Da ex atleta giudico le Paralimpiadi un’eccellenza, dal punto di vista agonistico, e un’opportunità per far conoscere a più persone possibili di cosa possono essere capaci questi straordinari atleti, esempio di resilienza e di determinazione».
Secondo Lei qual è la percezione che il mondo dei normodotati ha degli atleti paralimpici?
«Negli ultimi anni, per fortuna, la percezione del mondo paralimpico è cambiata considerevolmente. Oggi i cosiddetti normodotati, definizione che andrebbe a mio avviso rivista, non guardano più al movimento paralimpico con compassione, ma con ammirazione. Oggi, più di ieri, si comprende che la prestazione sportiva è uguale per tutti e che, se si vogliono raggiungere risultati di livello, bisogna prepararsi con tenacia e sacrificio. I risultati sportivi degli atleti paralimpici italiani hanno attirato i riflettori del grande pubblico. Ora la sfida più grande è mantenere quello standard che ci ha fatto entrare nell’Olimpo dei Paesi più competitivi al mondo nello sport paralimpico».

Nel cammino verso il riconoscimento della “forza” delle differenze piuttosto che della “guerra” alle differenze, a che punto si trovano i disabili?
«La nostra è una rivoluzione culturale silenziosa. Attraverso lo sport abbiamo voluto imporre una diversa percezione della disabilità che, sono convinto, è riuscita a condizionare anche la cultura del nostro Paese. Le differenze sono una ricchezza. Proprio per questo riteniamo che tutti gli individui siano unici e che, prima di essere ‘disabili’ o ‘normodotati’, si sia cittadini, con gli stessi diritti e stesse opportunità».
Fino a che punto è importante l’integrazione tra giochi olimpici e paralimpici?
«L’omologazione fra Giochi Olimpici e Paralimpici, se da un lato potrebbe inviare un significativo messaggio di uguaglianza, dall’altro rischia di togliere quel posto al sole di cui necessita il movimento paralimpico per la sua crescita. Lo slogan che ci identifica è ‘Proud to be Paralympian’, una frase che ben racchiude il nostro spirito. Il movimento paralimpico non è, infatti, una versione ‘minore’ di quello olimpico ma una realtà autonoma, ben definita, con propri valori e una propria dignità.

Valentina Vezzali ha detto “Gli atleti paralimpici sono in tutto e per tutto uguali a quelli olimpici”. Più che desiderio di “essere uguali”, l’affermazione della Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio con delega allo Sport , può significare desiderio di riscatto da una cultura che guarda alla disabilità come “persone-meno-performanti”?
«La Sottosegretaria Vezzali sin dal giorno del suo insediamento ha mostrato competenza sui nostri temi, grande sensibilità e attenzione. Le siamo grati per questo. La sua frase racchiude il pensiero di tanti: nello sport si è tutti uguali. Lo sport è la sfida dell’individuo ai propri limiti, al di là delle proprie abilità. È una forma mentis prima ancora di una prestazione fisica. Si tratta di un passaggio culturale importante non solo per comprendere il nostro movimento ma anche la nostra società».
Presidente, Lei ha detto: “Prenderemo parte a questi Giochi non solo con l’obiettivo di rappresentare un’eccellenza sportiva, ma anche di continuare ad alimentare quella rivoluzione culturale silenziosa che sta contribuendo a cambiare la percezione della disabilità nel nostro Paese e nel mondo”: che significa?
«Tanti anni fa un telecronista della tivù pubblica classificò le immagini di un atleta con disabilità come oscenità. In quegli anni si parlava dei Giochi del cuore e del coraggio riferendosi alle competizioni paralimpiche. Poi, grazie alle gesta e ai messaggi dei grandi sportivi paralimpici, senza polemiche o rimostranze, si è cominciato a capire che quei ragazzi e quelle ragazze erano portatori di una visione diversa della disabilità, volevano essere protagonisti di una nuova stagione di diritti e inclusione. Questi sportivi sono stati protagonisti di una rivoluzione culturale grazie alla quale oggi parlare di disabilità, in prima serata, non è più un tabù».
Grandi Vittorie a tutti Voi, grandi Atleti Paralimpici!
LA STORIA
Le prime Paralimpiadi si svolsero nel 1960 proprio in Italia, a margine dei giochi olimpici di Roma. Nel 1948 il Dottor Ludwig Guttman, direttore del centro nazionale Lesioni spinali di Stoke Mandeville (Londra), fu il primo ad intuire l’importanza dell’attività sportiva nel processo di recupero fisico e mentale delle persone con paralisi. Grazie alla sua esperienza con i reduci della seconda guerra mondiale, e seguendo le sue intuizioni, organizzò i primi “Giochi per disabili” che coinvolsero 14 uomini e 2 donne nella disciplina del tiro con l’arco.
Dodici anni più tardi le Paralimpiadi divennero ufficiali, con Antonio Maglio, direttore del Centro Spinale di Roma, e Ludwig Guttman che furono gli ideatori della prima edizione alla quale presero parte circa 400 atleti.