Giuliano Veronese, il Maestro
Ha girato il mondo e lavorato con i top dj del mondo. Una storia che si racconta attraverso una collezione di oltre 45mila dischi e la grande amicizia con Claudio Coccoluto
Sarà la musica che gira intorno. E che ti entra nell’anima. Un’emozione straordinaria. E se poi, proprio grazie a quella musica, giri il mondo e riesci a far ballare decine di migliaia di persone, allora vuol dire che la simbiosi tra cuore e note è praticamente perfetta.
È una lunga storia quella di Giuliano Veronese, nata nel 1972 alla discoteca Alla Villa di piazza Drago: una carriera che oggi si racconta tra immagini e pensieri, ma, soprattutto, attraverso un tesoretto di oltre 45mila dischi tra vinili e 45 giri, alcuni dei quali introvabili.
Giuliano, hai un archivio discografico incredibile: quali sono i dischi dai quali non ti separeresti mai?
«Difficile scegliere. Sicuramente tutta la collezione dei Beatles, gruppo che amo particolarmente anche per una questione generazionale. E poi un 45 giri dei primi anni Sessanta di Sandro Zaniboni, I peccatori di Jesolo. Introvabile».
Scusa la sincerità, ma dal Maestro mi sarei aspettato qualcosa, diciamo così, di più azzardato.
«Credo che non solo per me, ma per ciascuno di noi, quello con la musica sia un rapporto molto personale, quasi intimo, sicuramente emozionale. Per motivi anagrafici io mi sento molto legato alla musica Beat degli anni Sessanta, poi la crescita professionale mi ha avvicinato in particolare alla tecno e all’elettronica. Ciò detto, io sono un innamorato della musica, per cui sto sempre attento a quello che succede».
Una ricerca, la tua, che hai sempre portato in consolle, giusto?
«Diciamo che sono sempre stato coerente nelle mie proposte e talvolta anche un po’ temerario. Andavo contro le regole, la musica del momento non mi interessava e se non mi piaceva non la proponevo, però devo dire che il pubblico ha sempre apprezzato. Per fortuna, altrimenti sarebbe stato un bel guaio».
Non a caso sei diventato il Maestro.
«Mi chiamò così per la prima volta Vasco Rigoni, un grande».
E così, ad un certo punto, il Maestro ha iniziato a girare il mondo.
«Tra eventi, locali e club ho suonato in tutta Italia, mentre tra le esperienze all’estero ricordo sempre con grande piacere le serate a New York, Londra, Berlino e Ibiza. Nel periodo top facevo anche tre servizi nelle 24 ore a migliaia di chilometri di distanza. Un ricordo particolare? Una volta, a mezzanotte ero al Muretto, la mattina a Catania e dopo qualche ora a Torino. Transfert in aereo, mi muovevo quasi sempre da solo».
E in questo tuo girovagare hai suonato con i più grandi di sempre.
«Confermo. Potrei farti decine di nomi, da Sven Vath a Bob Sinclar, ma il mio pensiero va a Claudio Coccoluto: un amico fraterno, un professionista straordinario e una persona meravigliosa. Mi manca molto. Pensa che un giorno gli squilla il telefono, parla in inglese e a un certo punto mi dice: dai Giuliano, saluta questo mio amico. Prendo il telefono, era Bono degli U2! Questo, per dire della stima di cui godeva Claudio a livello internazionale».
Ci racconti un aneddoto della tua lunga carriera?
«Ce ne sarebbero tantissimi, anche perché in alcuni momenti, soprattutto a Cortina, ero circondato da vip, da Mastroianni a Marta Marzotto, da Francesco Nuti e Paolo Villaggio. Al Pineta di Milano Marittima veniva ad ascoltarmi Edoardo Bennato: si nascondeva in un angolo senza farsi vedere da nessuno, poi a fine serata veniva a prendermi, andavamo a mangiare e parlavamo di musica per ore. Al tempo proponevo Punk, New Wave e Ska, a lui piaceva molto».
A proposito di Pineta, la tua personale classifica dei locali top al mondo?
«Space di Ibiza e alcuni club di New York. E ci aggiungerei anche il nostro Muretto».
Maestro, che rimane oggi di quel mondo?
«Poco o nulla, tutto sta cambiando molto velocemente. Detto così sembra banale, ma quel che accade è sotto gli occhi di tutti».
E il futuro della musica?
«Un bell’enigma, sinceramente non lo so, ormai è tutto troppo uniformato. Qualche giorno fa sentivo alla radio l’ultimo brano di Giusy Ferreri, Shimmy Shimmy, una cosa orribile. Credo che la generazione dei Vasco Rossi e dei Ligabue lascerà un grande vuoto».
Ma non salvi proprio nessuno?
«I Maneskin hanno personalità, hanno osato, sono bravi e anche belli da vedere».
E il tuo rapporto con Radio Deejay?
«A Linus mi lega un’amicizia di vecchia data: sono ragazzi splendidi e anche simpatici, quando scherzando parlano dei vecchi dee jay mi mettono sempre in mezzo… ».
Cosa rimane di questa storia?
«Credo di aver dato molto e sinceramente è bello essere riconosciuti. Spesso i ragazzi mi fermano per un selfie, mi chiedono se tornerò a lavorare».
E tu che rispondi?
«La voglia è ancora tanta, ma purtroppo la pandemia ha bloccato i progetti di chi fa questo mestiere. Chissà, magari a breve potrebbe succedere: vi tengo informati!».