Cinque secondi sotto l’albero
Qualche anno fa ho incontrato Alex Zanardi. In montagna, un Natale. Avevamo ancora tutti e due le gambe. Famoso, carismatico, sorridente, sempre attorniato da una nuvola di assistenti, amici e ammiratori. Per ordine interno dell’albergo, la sua presenza era stata tenuta nascosta, ma a quanto sembrava, con poco successo. Partiva al mattino presto con la moglie e qualche amico, per le piste da sci, tornava nel tardo pomeriggio e cercava di passare inosservato fino all’ora di cena, quando era quasi sempre raggiunto da altre persone che cenavano con lui. Mi avevano detto di lui, delle sue prodezze al volante, delle sue esperienze con la Williams e dei buoni piazzamenti a Monza.
Era indubbiamente un personaggio. Eppure, guardandolo non vedevi esattamente “Il Campione”. Piuttosto un ragazzo con un sorriso contenuto, quasi timido e uno sguardo sincero. Una sera, mentre andava a cena col suo team, improvvisamente tornò indietro, raccolse qualcosa da terra e si avvicinò al banco del ricevimento con un guanto in mano, “Qualcuno deve averlo perso”, mi disse sorridendo. E non era il sorriso dell’uomo arrivato e di successo, quello famoso che tutti vogliono avere per amico. Era il sorriso del ragazzino dell’ultimo banco. Quello che chiami a giocare perché sai che è leale, che corre più forte di te ma che se resti indietro ti aspetta.
Lo ha dimostrato 9 mesi dopo, a settembre, quando a Lausitzring la sua Honda fu tagliata in due e nell’impatto perse metà del suo corpo. Da allora il suo recupero ebbe del miracoloso. Non tanto per il decorso fisico riabilitativo, quanto per quello umano. La sua rimonta nella vita e nell’atletica è stata la rimonta di molti di noi. Nessuno più di lui avrebbe avuto il diritto di lamentarsi per un destino troppo duro, invece non ha mai perso tempo nell’autocommiserazione. Nella vita c’è così poco tempo e così tante cose da fare. Bisogna ottimizzare gli sforzi per arrivare al traguardo.
Bisogna soprattutto avere dei traguardi da raggiungere. E, quando li hai raggiunti, girarti e tendere la mano a chi annaspa dietro di te. Come quando alla Venice Marathon del 2011, Alex, dopo avere trascinato per oltre quaranta chilometri un amico malato di Sla, è sceso dalla carrozzina a un metro dal traguardo per sospingerlo in avanti, saltellando sui moncherini come se fossero delle molle. Anche a giugno del 2020, quando lo scontro con un camion lo ridurrà di nuovo in fin di vita, stava partecipando ad una staffetta a fini benefici.
Ora Alex, siamo tutti noi a spingerti idealmente avanti. Tieni duro, non mollare, ricordati la tua “Regola dei Cinque Secondi”: «Se tieni duro e se provi ad andare avanti per altri 5 secondi, a volte accadono delle cose che ricostruiscono il tuo coraggio. A quel punto, invece di rallentare, acceleri ancora».
Quest’anno sotto l’albero potremmo tentare di metterci la sua filosofia. Ci servirebbe, ora che il mondo ci manda tanti segnali d’allerta da non sottovalutare. Teniamo duro, 5 secondi o un po’ di più, per tutti i traguardi che vogliamo ancora raggiungere.