La felicità nell’imperfezione

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Si dice che viviamo soprattutto di esteriorità, per nascondere insicurezze e debolezze, finché capita di incontrare qualcuno che, invece, sa distinguere l’immagine dall’essenziale e ha il coraggio di seguirlo. Parliamo di Luca Trapanese, 48 anni, di Napoli, primo italiano single e omosessuale ad avere legalmente adottato Alba, una bambina con sindrome di Down. Molti avranno conosciuto la sua storia per avere visto, lo scorso 27 agosto, su Canale 5, il film tratto dal suo libro “Nata per te”, in cui racconta la storia sua e di Alba. Di come tanti pezzi di vite, rotti e sparsi, possano riunirsi e dare forma ad una immagine straordinaria, che potremmo chiamare famiglia, o più semplicemente Amore.

LA VITA PER GLI ALTRI

Dall’età di 16 anni, Luca viaggia tra India e Africa. Aiuta a costruire pozzi, ospedali, scuole. Impara ad affiancare medici nelle sale operatorie di ospedali fatiscenti in sperduti villaggi africani. Accompagna i malati durante i pellegrinaggi a Lourdes, dove viene a contatto con la malattia e la disabilità. Da queste esperienze nasce il bisogno di fare qualcosa di concreto per chi vive nelle difficoltà. Nel 2007 fonda a Napoli “A Ruota Libera”, una onlus che offre a persone disabili, spesso senza genitori, l’opportunità di socializzare, di coltivare i propri talenti e di integrarsi nella comunità. Teatro, laboratori, coltivazione, apicoltura, scrittura ed ora anche a Roccamonfina, la Locanda dei Folli, il primo Albergo etico della Campania.

Luca, qualcuno ha detto che sei “nato padre”, perché sempre votato agli altri: è così?

«Ci sta, ma io padre lo volevo diventare davvero. Con il mio compagno avevamo preso in considerazione varie possibilità, dall’utero in affitto all’adozione. La mia relazione termina ma decido di iscrivermi ugualmente al registro degli affidi. Come single, ora potevo solo sperare in un affidamento. Sette mesi dopo vengo chiamato per l’affido di una neonata: Alba, nata in ospedale con sindrome di Down e abbandonata. Nonostante fosse disponibile all’adozione, un mese dopo non era stata ancora accettata da nessuna coppia».

Quale la svolta?

«Durante il periodo di affido scopro che l’adozione è possibile anche ad un single in caso di minore con disabilità e, con l’aiuto della mia avvocatessa, inoltro richiesta di adozione. Grazie alla mia esperienza nella disabilità il giudice decide di accettare la mia candidatura. Così, dopo un anno di affido, oggi sono ufficialmente padre ed Alba è mia figlia per sempre».

Facciamo un passo indietro: cosa ti ha portato ad essere così dedito agli altri?

«Diego, il mio migliore amico, siamo cresciuti insieme. Diego è morto a soli 15 anni a causa di un melanoma. Gli ho tenuto la mano fino all’ultimo istante di vita. È grazie a lui che la mia visione delle cose ha preso una strada completamente diversa da quella tradizionale e mi sono avvicinato alla disabilità, prima nel treno bianco diretto a Lourdes, e poi nelle missioni in India e Africa. Però, posso fare una precisazione?».

Dimmi…

«É necessario distinguere tra malattia e disabilità: la malattia può essere curata, non sempre è una sentenza di morte, mentre la disabilità è una condizione. Diego aveva un tumore ed è morto, Alba è disabile, non malata. Alba non ha bisogno di medicine, ha bisogno di vita. La gente fatica a capire questa differenza. In tutti i miei progetti come il Borgo Sociale, o La casa di Matteo (che accoglie minori disabili gravi anche in stato terminale, troppo gravi per essere tenuti negli ospedali o da qualche famiglia, ndr), sono partito dalle persone, ho visto le loro esigenze, ho ascoltato i loro bisogni e da questi ho costruito il resto. Quando ho acquistato la prima casa non avevo neanche i soldi. Ma ci credevo così tanto che sono andato avanti. Sono arrivate le donazioni ed ora abbiamo sette comunità, abbiamo un albergo, una fattoria, produciamo il miele e ci vivono 25 ragazzi. Questa non è la mia attività, è la mia vocazione».

Come vedi il futuro?

«Ho visto i genitori di questi ragazzi così carichi di problemi e così soli che riescono a malapena a gestire il presente e non hanno soluzioni per il futuro dei loro figli. Raffaele, il ragazzo che è nel film, l’abbiamo recuperato da una rsa. Aveva 22 anni e viveva con persone di ottant’anni perché i genitori erano mancati. Ora ha fatto un film, lavora, ha amici. Se Raffaele o Alba vengono visti solo come degli handicappati quando io muoio, la società li rimette nelle rsa, perché la sola risposta che viene data ai disabili è l’assistenzialismo».

Come assessore alle politiche sociali di Napoli come ti stai muovendo?

«Attraverso questo ruolo, vivo in prima persona il disagio delle famiglie che desidererebbero vedere la costruzione stabile e duratura di efficaci supporti d’aiuto e non solo bellissime intenzioni nei progetti. Dobbiamo accompagnare le persone disabili verso la maggiore autonomia possibile. Abbiamo bisogno di staccarci da modelli e stereotipi imposti. Se esistono solo persone perfette, famiglie perfette, amori perfetti,  tutti gli altri cosa sono?».

è una donna disabile, orgogliosamente disabile viene da dire conoscendola, perché lei con molta sincerità dice: «La mia vita sulle ruote non è troppo male, anzi». Se c’è qualche cosa che non le piace è la mancanza di conoscenza da parte delle persone, che finisce per causare grandi difficoltà. Ironica, intelligente e molto sensibile, Emanuela racconterà a Vivijesolo com’è la sua vita da disabile, tra episodi divertenti e altri scomodi: perché tutto potrebbe diventare un po’ più facile se solo ci fosse un minimo di accortezza da parte di tutti. Per scrivere a Emanuela Bressan: soloabili@yahoo.it

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