Omar racconta Pedrini
A Cortellazzo il reading musicale di Cane Sciolto, che racconta la storia di Omar Pedrini.
Dopo sei anni dalla prima pubblicazione, il volume dedicato all’artista bresciano, leader dei Timoria per quasi 20 anni, poi cantante solista e poeta. La storia è narrata in maniera originale dallo scrittore Federico Scarioni, che firma anche la prefazione (oltre a quella di Manuel Agnelli). Nella nuova edizione, con 352 pagine, la copertina rossa al posto della blu e cento fotografie inedite.
Nello spettacolo, Scarioni è la voce narrante che legge dei capitoli, Omar canta le canzoni legate proprio a quelle storie.

Federico, perché questa ristampa?
«Nel 2016 il libro è stato un successo editoriale tanto che abbiamo fatto già quattro ristampe. Sei anni dopo ci siamo accorti che la gente lo chiedeva ancora e voleva il nostro spettacolo. La storia, che poi è quella di Omar, è rimasta tale. Vi anticipo che in futuro ci sarà una nuova ristampa, con una copertina bianca seguendo una precisa trilogia».
Cantautore, polistrumentista, arrangiatore, attore e anche scrittore: chi è veramente Omar?
«Lui è un gemelli, quindi ha dentro di sé tutte le caratteristiche di quel segno, poliedricità compresa. Anche gli album dei Timoria erano diversi l’uno dall’altro. Questa sua peculiarità gli ha fatto toccare con mano varie discipline artistiche e anche di metterle nei suoi dischi».
Ai vostri spettacoli ci sono i fan degli anni ’90 e i giovani di oggi; perché?
«Per molti motivi. Il primo, perché uno dei maggiori successi di Omar è Viaggi senza Tempo del 1993. Oggi chiunque può immedesimarsi in quel testo. Omar, oltre ad essere trasversale nella sua arte, è trasversale anche nel tempo».

Omar, cosa ci svela com’è nata la foto in copertina?
«Nel 2015, Rolling Stone Italia, la celebre rivista musicale, aveva convocato cento artisti e addetti ai lavori per un numero speciale sulle cento facce della musica italiana. Ero lusingato da questo invito. Ero ancora in ospedale, ma non volevo perdere questa occasione, così ho anticipato l’uscita per farmi fotografare da lui. Mi sono presentato a Milano nello studio di Gastel: quando arrivò il mio turno, mi disse che avrebbe voluto fotografare i miei tatuaggi, gli risposi che avevo un “tatuaggio” che non tutti potevano esibire: la sutura fresca dell’operazione. E così è nata questa foto».