Il divieto di balneazione e la bandiera blu

Questa ve la racconto. Primavera inizi anni ‘70.  A Jesolo arriva il ministro del Lavoro Carlo Donat-Cattin per una iniziativa politica. Prima di cena incontra una delegazione di albergatori e politici. C’ero anch’io, giovanissimo consigliere e capogruppo. In quegli anni una minaccia pendeva su ogni stagione estiva: i micidiali cartelli “Divieto di balneazione”. Tradotto: mare inquinato. Li imponeva l’autorità sanitaria quando, dalla periodica campionatura, rinveniva nell’acqua di mare una carica di batteri superiore alla soglia stabilita. Unica soluzione, un depuratore. Un impianto molto costoso. I soliti benpensanti, alcuni anche tra gli imprenditori, la vedevano facile: non è mai morto nessuno per un bagno in acqua. Il depuratore? soldi buttati. Il sindaco di allora, Carlo Bragato, spiega al Ministro che il Governo deve mettere i Comuni nelle condizioni di finanziare l’intervento.

Un imprenditore presente (di cui non farò il nome nemmeno sotto tortura) interviene: “Signor Ministro la soluzione è semplice: alzare di un pelo la soglia di presenza di batteri; un decreto e la questione è chiusa”. Il Ministro, incredulo (come anche gli altri imprenditori presenti), gli lancia occhiataccia. Il sindaco batte un pugno sul tavolo e gli urla: lei è un incosciente. Superfluo ogni commento.

Anche quest’anno, ed è il ventesimo consecutivo, sul litorale di Jesolo sventolerà la bandiera blu. Il sindaco De Zotti ne è giustamente fiero, ma, saggiamente, sottolinea che il riconoscimento non era affatto scontato. Non lo era e non lo sarà. E di mezzo non ci sono solo i batteri. Mille ragioni in più per guardare oltre il proprio naso.

Assessore poi vice sindaco per una decina d’anni, occupandosi di varie materie,tra cui cultura, turismo ed urbanistica. è stato fondatore e direttore de “La Voce di Jesolo”.

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