Favino: «L’arte appartiene a tutti»

Da vicino nessuno è normale”. Le parole sono state pronunciate da Franco Basaglia (è stato un noto psichiatra, riformatore della disciplina psichiatrica) alla chiusura degli ospedali psichiatrici. Ma è anche la frase che fa da filo conduttore dell’ultimo film di Riccardo Milani con Pierfrancesco Favino e Miriam Leone. Una commedia che si confronta con temi scomodi come la disabilità. Lo fa con garbo il noto regista (suo anche “Come un gatto in tangenziale”) che, in “Corro Da Te”, riesce a farci sorridere sulle storture del mondo. In questo caso un mondo “antidisabili”, persone non allineate e spesso, quindi, emarginate.

Uno scontro tra la realtà bella, perfetta e patinata dell’uomo di successo: Gianni (Pierfrancesco Favino) rampante machista e convinto assertore dei  flirt di una notte, contro quella di Chiara (Miriam Leone), bella e talentuosa ragazza paraplegica, spettatrice disarmante e intelligente della commedia che Gianni ordisce al fine di conquistarla, fingendosi anche lui paraplegico, al solo scopo di vincere una scommessa. Il finale è facilmente intuibile. Un finale che vi sveleremo, naturalmente. Piuttosto abbiamo voluto raccontarvi le sensazioni del film, attraverso l’intervista doppia al grande Favino ed al “suo” regista.

Corro da Tenon è un film che parla di disabilità ma di come le persone “normali” vedono la disabilità. Può dire che oggi sia cambiato qualcosa nella sua personale visione delle persone disabili?

FAVINO: «Nel film, il tema della disabilità è stato affrontato anche con la collaborazione di tante associazioni di disabili. Questo mi ha consentito un’esperienza unica e di cui sono loro molto grato. Credo che si possa riflettere su quanto spesso l’approccio alla disabilità sia completamente fuorviato da pregiudizi». 

MILANI: «Non mi era mai capitato di stare così tanto a contatto con dei disabili. Tra la preparazione e le riprese del film abbiamo condiviso più di quattro mesi. La cosa che mi ha colpito di più è stata la loro feroce autoironia. Con continue battute sulla loro condizione hanno spazzato via ogni pietismo. Fateci “fighissimi” è stata la raccomandazione che ci ha fatto lavorare bene insieme. Da lì in poi qualsiasi pietismo è stato spazzato via. Non posso certo dire di conoscere a fondo il mondo della disabilità, ma un  po’ meglio si. Spero che molti “Gianni”, che è lo scettico e un po’ prevenuto protagonista del film, vedano le pellicola e cambino idea su molte situazioni che riguardano la disabilità».

Potrebbe esserci del buonismo nel giudicare le persone disabili per stereotipi?

FAVINO: «Certamente. Parliamo senza dubbio di stereotipi e mancanza di conoscenza. Gianni ignora. Solo la comprensione e l’incontro con la ragazza disabile lo portano alla consapevolezza.  Lei, con questa domanda, giunge al cuore del messaggio del film: l’abolizione dello stereotipo nei confronti della disabilità che è una forza, non una debolezza».

MILANI: «Usare il buonismo con disprezzo è servito solo a diventare tutti un po’ più stronzi. Quando Gianni dice “Lei (Chiara) è molto più forte di me”, dice una cosa vera e di cui lui si è reso conto. Chiara suona il violino, gioca a tennis, due cose peraltro in cui eccelle, mentre Gianni si scopre fragile conoscendo di fatto solo il circolo che frequenta e dove può solo scommettere sulla prossima conquista femminile. Detto questo, il pericolo di giudicare la disabilità per stereotipi credo ancora esista».

Al cinema e alla televisione ci sono sempre più film che parlano di disabilità, ma le parti dei disabili vengono sempre recitate da attori “normali”. Perché?

FAVINO: «Non sempre è così. Io stesso, anni fa, ho recitato in “Le chiavi di casa”, film di Amelio che aveva al centro la vicenda di un bambino con difficoltà e che è stato interpretato da un ragazzo realmente affetto da disabilità. Mi permetto di dire che il percorso di inclusione sarà completo solo quando si potrà giudicare con lo stesso metro di giudizio la capacità artistica dell’interprete, che sia normodotato o disabile. Nella scuola di recitazione che dirigo a Firenze gli esami sono aperti a tutti, anche a disabili, ma la scelta viene fatta sempre seguendo una sola linea chiara: ha talento o no. Sarà in grado di diventare un attore professionista o meno».

MILANI: «La scelta delle attrici o degli attori con cui lavorare è funzionale a due aspetti: l primo è la capacità che hanno di rendere forte e credibile il racconto; il secondo è la capacità di avere empatia con il pubblico. Cerco di lavorare sempre così. Devo anche dire che, da quando faccio questo mestiere, sia come assistente sul set di altri, sia come regista sui miei set, mi è sempre capitato di lavorare con attrici e attori che facevano finta di essere “qualcosa” o “qualcuno”.

Mi viene in mente che quest’anno il film vincitore dell’Oscar “Coda. I segni del cuore” parla proprio di disabilità. Troy Kotsur, premiato come attore non protagonista, realmente non udente, è stato accolto dalla platea con le mani alzate in movimento, che simboleggiano gli applausi nel linguaggio dei segni. Forse non serve sempre fare finta di essere “qualcosa” o “qualcuno” per essere i migliori».

è una donna disabile, orgogliosamente disabile viene da dire conoscendola, perché lei con molta sincerità dice: «La mia vita sulle ruote non è troppo male, anzi». Se c’è qualche cosa che non le piace è la mancanza di conoscenza da parte delle persone, che finisce per causare grandi difficoltà. Ironica, intelligente e molto sensibile, Emanuela racconterà a Vivijesolo com’è la sua vita da disabile, tra episodi divertenti e altri scomodi: perché tutto potrebbe diventare un po’ più facile se solo ci fosse un minimo di accortezza da parte di tutti. Per scrivere a Emanuela Bressan: soloabili@yahoo.it

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