Tra ONU e Commissione UE

La vita di Daniela Bas, votata alla lotta per i diritti e l’inclusione sociale, tra ONU e Commissione UE.

Nata in Friuli, laureatasi in studi politici internazionali, Daniela Bas, in carrozzina dall’età di 6 anni,  ha guardato sempre avanti affrontando sfide e viaggiando. Anche a costo di rischiare la vita, come quando lavorava nel settore della lotta agli stupefacenti illeciti in tutti gli angoli del pianeta. Una vita che è un’avventura, bellissima.

Iniziando all’Onu, dal 1986, poi all’Eufra [Agenzia Europea per i diritti fondamentali], al Comitato per promuovere la difesa non armata e non violenta al Consiglio dei ministri in Italia, fino al ruolo di consigliere speciale per il vice presidente della Commissione europea. Una carriera incredibile.

Com’è iniziata la sua carriera?

«Volevo studiare lingue, la mia passione, ma non andò in porto. Perciò ripiegai su Scienze Politiche con indirizzo internazionale, perché prevedeva due lingue. Una scelta casuale che però si rivelò essere la migliore. Durante un incontro con un ministro diplomatico, in visita all’università di Trieste, chiesi se la carriera diplomatica fosse possibile anche per persone con disabilità. Mi suggerì di partecipare ad un concorso per giovani funzionari delle Nazioni Unite. Feci domanda quasi per scherzo e fui selezionata con un contratto di due anni, esteso poi a tre. Poi assunta stabilmente, prima a Vienna, poi a Ginevra».

Poi il sogno di diventare giornalista, che si concretizzò con un contratto alla Rai, dove rimase per undici anni. Quindi alle Nazioni Unite, a New York, nel 2011; infine rientra In Italia per aprire un suo servizio di consulenze nel mondo della sostenibilità.

Una vita ricca, ma quali esperienze hanno lasciato in lei le tracce più importanti?

«Tra le esperienze professionali più interessanti c’è sicuramente la mia attività con Radio 24 de Il Sole 24 Ore: ero conduttrice e autrice del programma “Cartoline per tutti”, dedicato al turismo. Al suo interno era previsto un inserto specifico sui viaggi per persone con una qualche forma di mobilità ridotta temporanea o permanente. Fu una sfida molto interessante perché approfondii un tema così delicato intervistando politici, dirigenti di catene alberghiere, compagnie aeree, etc., avendo l’opportunità di rendere queste categorie più sensibili al turismo inclusivo».

Ha conosciuto personalità tra le più influenti in ambiti diversi. Ce n’è stata una che l’ha colpita particolarmente?

«All’Onu ho speso 25 anni della mia carriera, incontrando moltissime persone, note e meno note. Ci fu un beduino nel deserto del Sahara che mi colpì particolarmente per la sua saggezza. Un’altra persona che mi colpì fu la Regina Elisabetta II che mi invitò ad una cena a Londra. Era una donna con bellissimi occhi verde-azzurro e sguardo intenso. Sembrava potesse leggerti dentro, sempre in modo elegante e discreto. Nei suoi occhi si leggeva la storia del mondo».

Come definirebbe la parola “soggetti deboli”?

«Non so cosa si intenda per “soggetti deboli”. Si intende forse vulnerabili? In questo caso siamo tutti vulnerabili. Se si intende persone con disabilità, non condivido l’aggettivo “deboli”. Anzi, spesso sono persone che affrontano le difficoltà con molta più forza dei “soggetti forti”. Se parliamo di inclusione direi che ci sono varie politiche adottate dai 193 Paesi che fanno parte delle Nazioni Unite».

E come viene percepito il concetto di inclusione a livello mondiale?

«A livello mondiale, nel 2015 i 193 Paesi membri hanno adottato l’Agenda 2030 con diciassette obiettivi di sostenibilità da realizzarsi entro il 2030. Delineano politiche di inclusione a tutti i livelli economico, sociale e ambientale, con l’intento di non lasciare nessuno indietro. L’obiettivo numero uno è di ridurre la povertà estrema, il numero due prevede una nutrizione adeguata per tutti, poi il diritto alla salute, all’istruzione, uguaglianza di genere. L’impegno è enorme, però esiste».

Cosa vorrebbe vedere realizzato nel suo futuro?

«Io ho un motto “Va tanto lontano fin dove arrivi e una volta là, vai oltre”. Man mano che percorrerò la mia strada vedrò se il mio obiettivo è chiaro o se merita un cambio di percorso, cosa che ho già fatto nella vita. Il mio futuro lo vedo impegnata a condividere le mie conoscenze, allargare la mia rete di contatti per aumentare le possibilità di sostenibilità e innovazione. Mi piacerebbe molto scrivere un libro che possa motivare le persone ad affrontare sfide costruttive per il miglioramento sociale nel campo dell’inclusione e dell’ambiente».

è una donna disabile, orgogliosamente disabile viene da dire conoscendola, perché lei con molta sincerità dice: «La mia vita sulle ruote non è troppo male, anzi». Se c’è qualche cosa che non le piace è la mancanza di conoscenza da parte delle persone, che finisce per causare grandi difficoltà. Ironica, intelligente e molto sensibile, Emanuela racconterà a Vivijesolo com’è la sua vita da disabile, tra episodi divertenti e altri scomodi: perché tutto potrebbe diventare un po’ più facile se solo ci fosse un minimo di accortezza da parte di tutti. Per scrivere a Emanuela Bressan: soloabili@yahoo.it

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