Stefano Nazzi: Canti di guerra
Nel suo libro, pubblicato da Mondadori, Nazzi racconta la Milano di Francis Turatello, Renato Vallanzasca e Angelo Epaminonda.
Com’era questa Milano degli anni ’70 e quanto era veramente diffusa la criminalità?
«Era una criminalità estremamente diffusa che aveva fatto un notevole salto di qualità rispetto alla malavita tradizionale milanese conosciuta come ligera, cioè leggera, perché preferiva girare senza armi. Ed era una criminalità che amava mostrarsi, compiere azioni eclatanti, rendere esplicito il proprio potere, fare paura. Non aveva nessuno scrupolo a sparare: erano anni, i Settanta, in cui di media in città avvenivano ogni anno 150 omicidi. Per fare un paragone, l’anno scorso sono stati 19».
In che modo questi tre personaggi erano legati?
«Vallanzasca, Turatello ed Epaminonda sono strettamente legati perché agirono come criminali nello stesso periodo. Le bande di Vallanzasca e Turatello entrarono in conflitto, con violente sparatorie e vittime da una parte e dall’altra. Poi, tutti e due in carcere, siglarono la pace e strinsero un’alleanza tanto che Turatello fu testimone alle nozze di Vallanzasca. Epaminonda iniziò la sua attività criminale proprio come “soldato” di Turatello fino ad assumere ruoli sempre più importanti. Alla fine condusse una guerra spietata a quello che era stato, fino a poco prima, il suo capo, tanto che è probabile che fu lui a chiedere l’omicidio di Turatello, avvenuto in carcere a Nuoro il 17 agosto 1981».

Come, invece, si differenziava il loro essere criminali?
Erano tre personaggi molto diversi tra loro: Vallanzasca, narcisista, ribelle, insofferente a qualsiasi autorità, anche criminale, indifferente a questioni di potere; Turatello, invece, concentrato a costruire un impero criminale, a esercitare il proprio dominio su tutta la malavita milanese e poi lombarda e del nord Italia; Epaminonda feroce, una scheggia impazzita, dipendente dalla cocaina, disposto a tutto per accumulare sempre più denaro.
Esiste ancora, nella Milano di oggi, quella criminalità che giocava sul potere, sul narcisismo, sul terrore?
«La criminalità è molto cambiata. Segue la regola: “un morto in meno, soldi in più”. È una criminalità molto meno visibile, che agisce dietro le quinte, che in parte ha abbandonato il suo aspetto prettamente militare. Il che non vuol dire che non ci siano più fatti di sangue, la ferocia e la mancanza di scrupoli sono quelle di sempre, semplicemente la strategia è cambiata: fare più soldi mantenendo un profilo basso e infiltrandosi in attività commerciali apparentemente legali e, quando possibile, nelle amministrazioni. Nel Nord Italia la ‘ndrangheta è presente in maniera consistente e diffusa».